Zio Vanja: versione filologica per il teatro
Quando si traduce si fanno necessariamente delle scelte, perché non si può tradurre tutto in modo ottimale. Nel caso specifico, quando il testo della traduzione è destinato alla recitazione, tutte le battute devono avere come dominante la recitabilità, la pronunciabilità, la plausibilità della frase. Sono considerazioni che fa in primo luogo l’autore, e che il traduttore deve fare proprie.
Fermo restando che un testo del 1896 non può avere di solito lo stesso registro e lo stesso lessico di un testo del 2024, le frasi devono suonare verosimili in bocca a chi le pronuncia.
Questa è stata la nostra preoccupazione principale traducendo il capolavoro di Čechov.
L’altra dominante è stata il rigore filologico. Quando si traduce un gigante, non solo letterario ma anche filosofico e umano, bisogna mettere da parte – se necessario: con Čechov a noi è successo molto di rado – il proprio gusto personale e lasciar emergere quanto possibile la poetica dell’originale.
Il dramma è costruito intorno alla figura di un uomo tanto inutile quanto pieno di sé, Serebrâkóv, docente universitario che è riuscito a convincere tutti intorno a sé – sia in casa che nel mondo accademico – di valere, di avere delle idee, di avere studiato e di avere qualcosa da insegnare. Anche nella tenuta dove è ambientato il dramma, finora tutti hanno vissuto per lui, e durante il dramma si ha lo svelamento, lo smascheramento, a opera proprio di zio Vanâ. («Vanâ» è il vezzeggiativo di «Ivàn», nell’elenco dei personaggi è citato come Ivàn Petróvič Vojnìckij, e nel corso di tutto il dramma le battute del personaggio sono indicate come «Vojnìckij».)
A margine di questo motivo ci sono due amori impossibili. La donna più bella del dramma ha deciso di “suicidarsi” da viva o di punirsi  sposando il trombone assai più vecchio Serebrâkóv, ma in realtà segretamente ama, ricambiata, il medico Àstrov, un alter ego di Čechov stesso, ma per motivi etici non vuole cedere al corteggiamento di lui. E la nipote di Vànâ, Sóf’â Aleksàndrovna detta Sónâ, è invece perdutamente innamorata di Àstrov, che non la considera, ma lei finge di non accorgersene e le va bene così, sceglie questa sua condizione di amante respinta come sua condizione permanente, stabile, come sua ragione di vita. La sua nevrosi – come quella di Eléna Andréevna – fa sì che la sua realizzazione come persona consista nel non riuscire a essere felice, nel non perseguire la felicità ma la sofferenza.
Quando la bolla di Serebrâkóv viene smontata da zio Vanâ, la percezione esterna generale è però che quello “spostato” sia Vanâ, non il professore narcisista. Il narcisismo, l’autoreferenzialità sono perdonati, e invece è duramente sanzionato il suo svelamento.
L’unica persona seria che esce quasi immune dalla vicenda è Àstrov, che si preoccupa del futuro (di noi oggi), e pianta boschi per le generazioni a venire, perché ha già capito quello che succederà con l’industrializzazione selvaggia. In un certo senso ha già capito la deforestazione e il buco dell’ozono. Ma non per questo è più felice, e tutti lo considerano un bislacco, e lui si dà all’alcol per obnubilare questa dura realtà.
In Čechov c’è sempre questo contrasto tra apparenze elevate e basso cabotaggio delle aspirazioni effettive. C’è sempre qualcuno che suona o canticchia motivetti stupidi, qualcuno che dice cose ovvie o proverbiali. Il proverbio, la frase fatta, è un artificio che Čechov usa per rivelare la póšlost’, la trivialità, la volgarità della cultura dominante. Perché Čechov non nasconde mai il mistero dell’esistenza né a sé stesso né a noi e, lungi dal farne motivo di superstizione religiosa, sa di non sapere e cerca di mettere a nudo la nevrosi dell’uomo
civilizzato, la psicopatologia della vita quotidiana.
Questa versione è stata realizzata dagli studenti del secondo (ultimo) corso 2023-2024 della laurea magistrale in traduzione presso la Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori «Altiero Spinelli», sotto la supervisione di Bruno Osimo.
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Zio Vanja: versione filologica per il teatro
Quando si traduce si fanno necessariamente delle scelte, perché non si può tradurre tutto in modo ottimale. Nel caso specifico, quando il testo della traduzione è destinato alla recitazione, tutte le battute devono avere come dominante la recitabilità, la pronunciabilità, la plausibilità della frase. Sono considerazioni che fa in primo luogo l’autore, e che il traduttore deve fare proprie.
Fermo restando che un testo del 1896 non può avere di solito lo stesso registro e lo stesso lessico di un testo del 2024, le frasi devono suonare verosimili in bocca a chi le pronuncia.
Questa è stata la nostra preoccupazione principale traducendo il capolavoro di Čechov.
L’altra dominante è stata il rigore filologico. Quando si traduce un gigante, non solo letterario ma anche filosofico e umano, bisogna mettere da parte – se necessario: con Čechov a noi è successo molto di rado – il proprio gusto personale e lasciar emergere quanto possibile la poetica dell’originale.
Il dramma è costruito intorno alla figura di un uomo tanto inutile quanto pieno di sé, Serebrâkóv, docente universitario che è riuscito a convincere tutti intorno a sé – sia in casa che nel mondo accademico – di valere, di avere delle idee, di avere studiato e di avere qualcosa da insegnare. Anche nella tenuta dove è ambientato il dramma, finora tutti hanno vissuto per lui, e durante il dramma si ha lo svelamento, lo smascheramento, a opera proprio di zio Vanâ. («Vanâ» è il vezzeggiativo di «Ivàn», nell’elenco dei personaggi è citato come Ivàn Petróvič Vojnìckij, e nel corso di tutto il dramma le battute del personaggio sono indicate come «Vojnìckij».)
A margine di questo motivo ci sono due amori impossibili. La donna più bella del dramma ha deciso di “suicidarsi” da viva o di punirsi  sposando il trombone assai più vecchio Serebrâkóv, ma in realtà segretamente ama, ricambiata, il medico Àstrov, un alter ego di Čechov stesso, ma per motivi etici non vuole cedere al corteggiamento di lui. E la nipote di Vànâ, Sóf’â Aleksàndrovna detta Sónâ, è invece perdutamente innamorata di Àstrov, che non la considera, ma lei finge di non accorgersene e le va bene così, sceglie questa sua condizione di amante respinta come sua condizione permanente, stabile, come sua ragione di vita. La sua nevrosi – come quella di Eléna Andréevna – fa sì che la sua realizzazione come persona consista nel non riuscire a essere felice, nel non perseguire la felicità ma la sofferenza.
Quando la bolla di Serebrâkóv viene smontata da zio Vanâ, la percezione esterna generale è però che quello “spostato” sia Vanâ, non il professore narcisista. Il narcisismo, l’autoreferenzialità sono perdonati, e invece è duramente sanzionato il suo svelamento.
L’unica persona seria che esce quasi immune dalla vicenda è Àstrov, che si preoccupa del futuro (di noi oggi), e pianta boschi per le generazioni a venire, perché ha già capito quello che succederà con l’industrializzazione selvaggia. In un certo senso ha già capito la deforestazione e il buco dell’ozono. Ma non per questo è più felice, e tutti lo considerano un bislacco, e lui si dà all’alcol per obnubilare questa dura realtà.
In Čechov c’è sempre questo contrasto tra apparenze elevate e basso cabotaggio delle aspirazioni effettive. C’è sempre qualcuno che suona o canticchia motivetti stupidi, qualcuno che dice cose ovvie o proverbiali. Il proverbio, la frase fatta, è un artificio che Čechov usa per rivelare la póšlost’, la trivialità, la volgarità della cultura dominante. Perché Čechov non nasconde mai il mistero dell’esistenza né a sé stesso né a noi e, lungi dal farne motivo di superstizione religiosa, sa di non sapere e cerca di mettere a nudo la nevrosi dell’uomo
civilizzato, la psicopatologia della vita quotidiana.
Questa versione è stata realizzata dagli studenti del secondo (ultimo) corso 2023-2024 della laurea magistrale in traduzione presso la Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori «Altiero Spinelli», sotto la supervisione di Bruno Osimo.
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Quando si traduce si fanno necessariamente delle scelte, perché non si può tradurre tutto in modo ottimale. Nel caso specifico, quando il testo della traduzione è destinato alla recitazione, tutte le battute devono avere come dominante la recitabilità, la pronunciabilità, la plausibilità della frase. Sono considerazioni che fa in primo luogo l’autore, e che il traduttore deve fare proprie.
Fermo restando che un testo del 1896 non può avere di solito lo stesso registro e lo stesso lessico di un testo del 2024, le frasi devono suonare verosimili in bocca a chi le pronuncia.
Questa è stata la nostra preoccupazione principale traducendo il capolavoro di Čechov.
L’altra dominante è stata il rigore filologico. Quando si traduce un gigante, non solo letterario ma anche filosofico e umano, bisogna mettere da parte – se necessario: con Čechov a noi è successo molto di rado – il proprio gusto personale e lasciar emergere quanto possibile la poetica dell’originale.
Il dramma è costruito intorno alla figura di un uomo tanto inutile quanto pieno di sé, Serebrâkóv, docente universitario che è riuscito a convincere tutti intorno a sé – sia in casa che nel mondo accademico – di valere, di avere delle idee, di avere studiato e di avere qualcosa da insegnare. Anche nella tenuta dove è ambientato il dramma, finora tutti hanno vissuto per lui, e durante il dramma si ha lo svelamento, lo smascheramento, a opera proprio di zio Vanâ. («Vanâ» è il vezzeggiativo di «Ivàn», nell’elenco dei personaggi è citato come Ivàn Petróvič Vojnìckij, e nel corso di tutto il dramma le battute del personaggio sono indicate come «Vojnìckij».)
A margine di questo motivo ci sono due amori impossibili. La donna più bella del dramma ha deciso di “suicidarsi” da viva o di punirsi  sposando il trombone assai più vecchio Serebrâkóv, ma in realtà segretamente ama, ricambiata, il medico Àstrov, un alter ego di Čechov stesso, ma per motivi etici non vuole cedere al corteggiamento di lui. E la nipote di Vànâ, Sóf’â Aleksàndrovna detta Sónâ, è invece perdutamente innamorata di Àstrov, che non la considera, ma lei finge di non accorgersene e le va bene così, sceglie questa sua condizione di amante respinta come sua condizione permanente, stabile, come sua ragione di vita. La sua nevrosi – come quella di Eléna Andréevna – fa sì che la sua realizzazione come persona consista nel non riuscire a essere felice, nel non perseguire la felicità ma la sofferenza.
Quando la bolla di Serebrâkóv viene smontata da zio Vanâ, la percezione esterna generale è però che quello “spostato” sia Vanâ, non il professore narcisista. Il narcisismo, l’autoreferenzialità sono perdonati, e invece è duramente sanzionato il suo svelamento.
L’unica persona seria che esce quasi immune dalla vicenda è Àstrov, che si preoccupa del futuro (di noi oggi), e pianta boschi per le generazioni a venire, perché ha già capito quello che succederà con l’industrializzazione selvaggia. In un certo senso ha già capito la deforestazione e il buco dell’ozono. Ma non per questo è più felice, e tutti lo considerano un bislacco, e lui si dà all’alcol per obnubilare questa dura realtà.
In Čechov c’è sempre questo contrasto tra apparenze elevate e basso cabotaggio delle aspirazioni effettive. C’è sempre qualcuno che suona o canticchia motivetti stupidi, qualcuno che dice cose ovvie o proverbiali. Il proverbio, la frase fatta, è un artificio che Čechov usa per rivelare la póšlost’, la trivialità, la volgarità della cultura dominante. Perché Čechov non nasconde mai il mistero dell’esistenza né a sé stesso né a noi e, lungi dal farne motivo di superstizione religiosa, sa di non sapere e cerca di mettere a nudo la nevrosi dell’uomo
civilizzato, la psicopatologia della vita quotidiana.
Questa versione è stata realizzata dagli studenti del secondo (ultimo) corso 2023-2024 della laurea magistrale in traduzione presso la Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori «Altiero Spinelli», sotto la supervisione di Bruno Osimo.

Product Details

ISBN-13: 9791281358492
Publisher: Bruno Osimo
Publication date: 09/21/2024
Series: Opere di Céchov , #20
Sold by: StreetLib SRL
Format: eBook
File size: 69 KB
Language: Italian
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