Ultime lettere di Jacopo Ortis
Jacopo Ortis è uno studente universitario veneto di passione repubblicana[2], il cui nome è nelle liste di proscrizione. Dopo aver assistito al sacrificio della sua patria si ritira, triste e inconsolabile, sui colli Euganei, dove vive in solitudine. Passa il tempo leggendo Plutarco, scrivendo al suo amico, trattenendosi a volte con il sacerdote curato, con il medico e con altre persone buone. Jacopo conosce il signor T., le figlie Teresa e Isabellina, e Odoardo, che è il promesso sposo di Teresa, e comincia a frequentare la loro casa. È questa, per Jacopo, che è sempre tormentato dal pensiero della sua patria schiava e infelice, una delle poche consolazioni.
Un giorno di festa aiuta i contadini a trapiantare i pini sul monte, commosso e pieno di malinconia, un altro giorno con Teresa e i suoi visita la casa del Petrarca ad Arquà. I giorni trascorrono e Jacopo sente che il suo amore impossibile per Teresa diventa sempre più grande. Jacopo viene a sapere dalla stessa Teresa che essa è infelice perché non ama Odoardo al quale il padre l'ha promessa in sposa per questioni economiche, nonostante l'opposizione della madre che ha perciò abbandonato la famiglia.
Ai primi di dicembre Jacopo si reca a Padova, dove si è riaperta l'Università. Conosce le dame del bel mondo, trova i falsi amici, s'annoia, si tormenta e, dopo due mesi, ritorna da Teresa. Odoardo è partito ed egli riprende i dolci colloqui con Teresa e sente che solo lei, se lo potesse sposare, potrebbe dargli la felicità. Ma il destino ha scritto: "l'uomo sarà infelice" e questo Jacopo ripete tracciando la storia di Lauretta, una fanciulla infelice, nelle cui braccia è morto il fidanzato ed i genitori della quale sono dovuti fuggire dalla patria.
I giorni passano nella contemplazione degli spettacoli della natura e nell'amore per Jacopo e Teresa, i quali si baceranno per la prima volta in tutto il romanzo. Egli sente che lontano da lei è come essere in una tomba ed invoca l'aiuto della divinità. Si ammala e, al padre di Teresa che lo va a trovare, rivela il suo amore per la figlia. Appena può lasciare il letto scrive una lettera d'addio a Teresa e parte. Si reca a Ferrara, Bologna e Firenze. Qui visita i sepolcri dei "grandi" a Santa Croce. Poi viaggia fino a Milano, portandosi sempre dietro l'immagine di Teresa e sentendosi sempre più infelice e disperato, dove incontra il Parini. Vorrebbe fare qualcosa per la sua infelice patria ma Giuseppe Parini con il quale ha un ardente colloquio, lo dissuade da inutili atti d'audacia. Inquieto e senza pace decide di andare in Francia ma, arrivato a Nizza si pente e ritorna indietro. Quando viene a conoscenza che Teresa si è sposata sente che per lui la vita non ha più senso. Ritorna ai colli Euganei per rivedere Teresa, va a Venezia per riabbracciare la madre, poi ancora ai colli e qui, dopo aver scritto una lettera a Teresa e l'ultima all'amico Lorenzo Alderani, si uccide, piantandosi un pugnale nel cuore.
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Ultime lettere di Jacopo Ortis
Jacopo Ortis è uno studente universitario veneto di passione repubblicana[2], il cui nome è nelle liste di proscrizione. Dopo aver assistito al sacrificio della sua patria si ritira, triste e inconsolabile, sui colli Euganei, dove vive in solitudine. Passa il tempo leggendo Plutarco, scrivendo al suo amico, trattenendosi a volte con il sacerdote curato, con il medico e con altre persone buone. Jacopo conosce il signor T., le figlie Teresa e Isabellina, e Odoardo, che è il promesso sposo di Teresa, e comincia a frequentare la loro casa. È questa, per Jacopo, che è sempre tormentato dal pensiero della sua patria schiava e infelice, una delle poche consolazioni.
Un giorno di festa aiuta i contadini a trapiantare i pini sul monte, commosso e pieno di malinconia, un altro giorno con Teresa e i suoi visita la casa del Petrarca ad Arquà. I giorni trascorrono e Jacopo sente che il suo amore impossibile per Teresa diventa sempre più grande. Jacopo viene a sapere dalla stessa Teresa che essa è infelice perché non ama Odoardo al quale il padre l'ha promessa in sposa per questioni economiche, nonostante l'opposizione della madre che ha perciò abbandonato la famiglia.
Ai primi di dicembre Jacopo si reca a Padova, dove si è riaperta l'Università. Conosce le dame del bel mondo, trova i falsi amici, s'annoia, si tormenta e, dopo due mesi, ritorna da Teresa. Odoardo è partito ed egli riprende i dolci colloqui con Teresa e sente che solo lei, se lo potesse sposare, potrebbe dargli la felicità. Ma il destino ha scritto: "l'uomo sarà infelice" e questo Jacopo ripete tracciando la storia di Lauretta, una fanciulla infelice, nelle cui braccia è morto il fidanzato ed i genitori della quale sono dovuti fuggire dalla patria.
I giorni passano nella contemplazione degli spettacoli della natura e nell'amore per Jacopo e Teresa, i quali si baceranno per la prima volta in tutto il romanzo. Egli sente che lontano da lei è come essere in una tomba ed invoca l'aiuto della divinità. Si ammala e, al padre di Teresa che lo va a trovare, rivela il suo amore per la figlia. Appena può lasciare il letto scrive una lettera d'addio a Teresa e parte. Si reca a Ferrara, Bologna e Firenze. Qui visita i sepolcri dei "grandi" a Santa Croce. Poi viaggia fino a Milano, portandosi sempre dietro l'immagine di Teresa e sentendosi sempre più infelice e disperato, dove incontra il Parini. Vorrebbe fare qualcosa per la sua infelice patria ma Giuseppe Parini con il quale ha un ardente colloquio, lo dissuade da inutili atti d'audacia. Inquieto e senza pace decide di andare in Francia ma, arrivato a Nizza si pente e ritorna indietro. Quando viene a conoscenza che Teresa si è sposata sente che per lui la vita non ha più senso. Ritorna ai colli Euganei per rivedere Teresa, va a Venezia per riabbracciare la madre, poi ancora ai colli e qui, dopo aver scritto una lettera a Teresa e l'ultima all'amico Lorenzo Alderani, si uccide, piantandosi un pugnale nel cuore.
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by Ugo Foscolo
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Jacopo Ortis è uno studente universitario veneto di passione repubblicana[2], il cui nome è nelle liste di proscrizione. Dopo aver assistito al sacrificio della sua patria si ritira, triste e inconsolabile, sui colli Euganei, dove vive in solitudine. Passa il tempo leggendo Plutarco, scrivendo al suo amico, trattenendosi a volte con il sacerdote curato, con il medico e con altre persone buone. Jacopo conosce il signor T., le figlie Teresa e Isabellina, e Odoardo, che è il promesso sposo di Teresa, e comincia a frequentare la loro casa. È questa, per Jacopo, che è sempre tormentato dal pensiero della sua patria schiava e infelice, una delle poche consolazioni.
Un giorno di festa aiuta i contadini a trapiantare i pini sul monte, commosso e pieno di malinconia, un altro giorno con Teresa e i suoi visita la casa del Petrarca ad Arquà. I giorni trascorrono e Jacopo sente che il suo amore impossibile per Teresa diventa sempre più grande. Jacopo viene a sapere dalla stessa Teresa che essa è infelice perché non ama Odoardo al quale il padre l'ha promessa in sposa per questioni economiche, nonostante l'opposizione della madre che ha perciò abbandonato la famiglia.
Ai primi di dicembre Jacopo si reca a Padova, dove si è riaperta l'Università. Conosce le dame del bel mondo, trova i falsi amici, s'annoia, si tormenta e, dopo due mesi, ritorna da Teresa. Odoardo è partito ed egli riprende i dolci colloqui con Teresa e sente che solo lei, se lo potesse sposare, potrebbe dargli la felicità. Ma il destino ha scritto: "l'uomo sarà infelice" e questo Jacopo ripete tracciando la storia di Lauretta, una fanciulla infelice, nelle cui braccia è morto il fidanzato ed i genitori della quale sono dovuti fuggire dalla patria.
I giorni passano nella contemplazione degli spettacoli della natura e nell'amore per Jacopo e Teresa, i quali si baceranno per la prima volta in tutto il romanzo. Egli sente che lontano da lei è come essere in una tomba ed invoca l'aiuto della divinità. Si ammala e, al padre di Teresa che lo va a trovare, rivela il suo amore per la figlia. Appena può lasciare il letto scrive una lettera d'addio a Teresa e parte. Si reca a Ferrara, Bologna e Firenze. Qui visita i sepolcri dei "grandi" a Santa Croce. Poi viaggia fino a Milano, portandosi sempre dietro l'immagine di Teresa e sentendosi sempre più infelice e disperato, dove incontra il Parini. Vorrebbe fare qualcosa per la sua infelice patria ma Giuseppe Parini con il quale ha un ardente colloquio, lo dissuade da inutili atti d'audacia. Inquieto e senza pace decide di andare in Francia ma, arrivato a Nizza si pente e ritorna indietro. Quando viene a conoscenza che Teresa si è sposata sente che per lui la vita non ha più senso. Ritorna ai colli Euganei per rivedere Teresa, va a Venezia per riabbracciare la madre, poi ancora ai colli e qui, dopo aver scritto una lettera a Teresa e l'ultima all'amico Lorenzo Alderani, si uccide, piantandosi un pugnale nel cuore.

Product Details

ISBN-13: 9781478316794
Publisher: CreateSpace Publishing
Publication date: 07/26/2012
Pages: 138
Product dimensions: 5.98(w) x 9.02(h) x 0.32(d)
Language: Italian

About the Author

LA VITA

Niccolò Foscolo (Ugo è il suo pseudonimo) nasce nel 1778 a Zante e compie i primi studi nel seminario di Spalato.

Nel 1792 si trasferisce a Venezia dove, nonostante la povertà della famiglia, completa l'istruzione comprendendo, oltre ai classici, anche i filosofi settecenteschi. Per le sue idee rivoluzionarie giacobine è costretto a fuggire nel 1796 sui colli Euganei, dove traccia il primo nucleo dell'Ortis. Ottiene i primi successi come letterato con la tragedia "Tieste". Nel 1797 in seguito al trattato di Campoformio (Napoleone cede Venezia all'Austria) Foscolo ripara a Milano, capitale della repubblica Cisalpina francese. Qui conosce il Monti e il Parini e dirige per un breve periodo il "Monitore italiano". Combatte valorosamente sotto Napoleone quando la penisola viene attaccata dalle truppe austro-russe; ottiene in seguito numerosi incarichi diplomatici che lo porteranno a viaggiare in tutta Italia.

E' questo un periodo di ricca vita sentimentale e artistica in cui pubblica l'Ortis (1802), le Odi e i Sonetti (1803).

Dal 1804 al 1806 vive nella Francia del Nord in attesa dell'ordine di Napoleone per invadere l'Inghilterra. Qui traduce il "Viaggio Sentimentale di Yorik" dello Sterne, elabora la figura di Didimo Chierico e conosce Sofia Emerytt, da cui avrà un figlia, Floriana. Tornato in Italia nel 1806 compone i "Sepolcri". Nell'1808 gli viene offerta la cattedra di eloquenza dell'Università di Pavia (orazione inaugurale: "Dell'origine e dell'uffizio della lettaratura") ma la cattedra viene presto soppressa.

Nel 1811, in seguito al clamoroso insuccesso dell' "Aiace", lascia Milano per Firenze, dove trascorre tra il '12 e il '13 un periodo serenissimo nella villa di Bellosguardo, dove compone la maggior parte delle Grazie, e scrive la "Ricciarda", la terza delle sue tragedie.

Dopo la sconfitta di Napoleone torna a Milano, ora sotto gli Austriaci, i quali gli fecero proposte generose affinché collaborasse col nuovo governo ed aiutasse a catturare le simpatie dei lombardi.

Ma dopo un'iniziale esitazione decide di abbandonare per sempre l'Italia e di auto-esiliarsi prima a Zurigo e poi a Londra. Trascorre gli ultimi anni tra passioni infelici, continue difficoltà economiche, ma compone importanti saggi critici sulla poesia italiana. Muore nel 1827 all'età di 49 anni, e nel 1871 la sua tomba sarà trasferita a Santa Croce.
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